Rav Eliahu Birnbaum
In questa parashà veniamo istruiti sul rispetto con il quale si devono trattare le minoranze che vivono all’interno della società ebraica. E ciò vale come esempio per insegnarci il rispetto per le minoranze in generale, cosa che significa parlare dell’inalienabile diritto alla differenza.
“Dio fa giustizia dell’orfano e della vedova e ama lo straniero che vive tra di voi, dandogli pane e abbigliamento. Voi dovrete amare lo straniero perché voi foste stranieri in Egitto.” E la Torà in seguito afferma: “ Amerai l’Eterno tuo Dio…”
La Torà si riferisce con questo precetto a tutti coloro che si trovano in una condizione di minoranza o in inferiorità: l’orfano, la vedova e lo straniero, coloro che appartengono ad un altro popolo o un’altra nazione, che sono fedeli di un’altra religione, che sostengono un’altra idea o appartengono ad un altro schieramento politico: tutti coloro che, in definitiva, sono “diversi” ma abitano nella stessa terra in cui noi siamo la maggioranza.
Questo precetto è quello che è ripetuto il maggior numero di volte nella Torà. Per ben quarantadue volte ci viene detto di rispettare la minoranza e il debole. I nostri saggi hanno addotto due motivazioni per spiegare la necessità di tale reiterazione: la prima è la rilevanza di un precetto che riguarda le relazioni umane e regola la vita di una comunità; la seconda perché si tratta di un precetto “molto facile da dimenticare”, trascurare o eludere, invocando argomenti il cui carattere fallace non è sempre facile scoprire.
La Torà espone a sua volta alcuni motivi per i quali è fondamentale questo rispetto. Il primo motivo è di carattere religioso: si tratta di rispettare tutti coloro che Dio, a Sua volta, rispetta ed aiuta. Facendolo seguiamo nel cammino di Dio. Ci viene insegnato che il “cammino umano” per assomigliare a quello di Dio deve essere un cammino morale e la sua essenza non si trova in lunghe preghiere o digiuni. Dio è il Padre di tutti gli uomini ed esige il rispetto per tutte le creature che furono da Lui create a Sua propria immagine ed in accordo con la Sua immagine. Lo straniero merita il nostro amore e rispetto, analogo a quello che professiamo nei confronti di Dio. Il secondo motivo che la Torà ci offre per compiere questo precetto fa appello alla nostra umanità ed alla nostra memoria. Ci viene ordinato di rispettare colui che si trova in condizione inferiore perché noi stessi siamo stati stranieri e siamo stati schiavi in Egitto.
Molto spesso accade che la sofferenza indurisce il cuore di una persona: in tal caso l’aver sofferto non induce a comportarsi con amabilità e giustizia nei confronti di coloro che vivono ciò che noi stessi abbiamo vissuto, ma esattamente il contrario. La Torà ci fa notare che, essendo passati per l’esperienza della schiavitù, dobbiamo identificarci con coloro che soffrono in analoga condizione.
L’esperienza dell’Egitto dovrebbe insegnarci la sensibilità umana e morale che è, in realtà, l’essenza dell’Ebraismo e che dovrebbe essere in noi connaturata. Oggi, questo insegnamento ha una valenza speciale, in quanto il progresso scientifico e tecnologico del nostro tempo non sembra aver contribuito al mutuo rispetto e alla concordia né a far sì che il diritto alla differenza sia maggiormente rispettato. Continuamente vediamo e viviamo manifestazioni che provano quanto poco sia avanzata l’umanità nelle attitudini che nobilitano la stessa condizione umana.