Rav Elihau Birnbaum
Questa parashà è, sicuramente, una delle più strane della Torà. Il suo tema centrale è la deviazione morale di un figlio di buona famiglia, un figlio che presumibilmente non ha avuto una infanzia difficile, che non ha sofferto grandi crisi familiari e che ancor meno ha subito carenze importanti nella sua educazione.
“Se qualcuno dovesse avere un figlio disobbediente e ribelle che non presta attenzione a quello che gli dicono i suoi genitori e che non obbedisce loro quando viene punito, i suoi genitori dovranno portarlo al tribunale degli Anziani della città…” e, dopo che siano state provate le sue trasgressioni, dovrà essere lapidato-secondo quanto stabilito dalla Legge, fino alla sua morte. Se la Torà avesse stabilito che questa norma come inappellabile non avremmo avuto possibilità di scelta o di opposizione. La Torà, al contrario, stabilisce che i saggi di Israele possano interpretare o restringere la Torà stessa e conferisce loro la prerogativa di far applicare la Legge nelle diverse circostanze.
La Torà non specifica chi sia colui che “non ascolta i suoi genitori”. Quand’è che la trasgressione supera i limiti consentiti? Si parla di uno che attacca i propri genitori, che ruba, che si ubriaca, che si droga? Si riferisce a chi è totalmente fuori dal controllo? Ovviamente non si tratta di chi ha solo un problema di condotta. I nostri saggi interpretano che quanto esposto nella Torà – cioè che il figlio è condannato dal tribunale alla pena di morte per lapidazione – abbia come unico obiettivo quello di essere analizzato e di costituire un esempio, ma non deve mai essere applicato alla realtà. La condizione di una persona in un dato momento deriva da una molteplicità di fattori, di opzioni, di interazioni con la società e con il contesto familiare nel quale si è sviluppata ed è cresciuta. A quale deviazione si riferisce la Torà quando parla del tipo di figlio ribelle e condannabile a morte dal tribunale?
In considerazione della responsabilità che implica per un tribunale l’emettere una sentenza di condanna a morte, i saggi del Talmud hanno elaborato una serie di circostanze per la quali un tribunale deve retrocedere e dichiararsi umanamente incapace di sentenziare. Secondo i nostri saggi, considerare completamente colpevole un “figlio disobbediente e ribelle” se non è stato cresciuto da sua madre e suo padre insieme (in caso di divorzio o di assenza di uno di essi) o se uno dei due è invalido o “cieco” o “sordo” o non ha trasmesso un messaggio coerente per la sua educazione. Se uno dei genitori è assente o se hanno divorziato ed il figlio vive con uno solo di essi è molto difficile che il bambino riceva una educazione armoniosa e completa. Se uno o entrambi i genitori sono invalidi non potranno far valere compiutamente la loro autorità. Genitori ciechi o sordi sono coloro che non ascoltano le inquietudini dei loro figli, nonne percepiscono la necessità di amore ed affetto, non intervengono quando è necessario e quindi non soddisfano le loro necessità.
Un gran rischio nella educazione dei figli è la cecità e la sordità di fronte ai segnali che i genitori dovrebbero cogliere.
In conclusione, solo se i genitori trasmettono ai loro figli un messaggio coerente e convergente, solo se esiste una piena armonia sia nella vita fisica che spirituale della famiglia, si potrà accusare il figlio. Se le cose non stanno in questo modo egli non potrà essere responsabilizzato per la sua condizione.
Di fatto, i saggi sono giunti alla conclusione che il caso tragicamente estremo del figlio ribelle condannabile a morte come previsto dalla Torà è inapplicabile alla realtà, poiché in ognuno di noi si possono trovare forme di cecità e di mancanza di attenzione per i figli e per la realtà che li circonda.
L’armonia completa è impossibile: ci saranno sempre fattori eterni che inevitabilmente influiranno sulla educazione e sviluppo del bambino.