La seconda parashà del libro Vaikrà abbonda di regole circa le offerte e i sacrifici che avrebbe dovuto compiere il popolo di Israele all’interno del tempio costruito a Gerusalemme, il Bet HaMikdash. Nel frattempo le offerte sarebbero state compiute nel Mishkan, il Santuario che viaggiava insieme con il popolo lungo tutto il percorso che lo avrebbe condotto alla terra promessa.
“Un uomo che porterà una offerta”: in questo modo comincia uno dei comandamenti di questa parashà. E’ l’uomo, in maniera esplicita, colui che porta una offerta. Non è possibile portare una offerta a Dio se prima non si è “un uomo” completo. I sacrifici non sono di per sé sufficienti per avvicinarsi a Dio, se l’uomo, il tipo di uomo che in yiddish si chiama “mentsch”, non è degno di offrire un sacrificio al Creatore. A sua volta il versetto sembrerebbe insegnarci che la persona riesce a raggiungere la sua condizione di “uomo”, “menstch”, solo quando apprende e fa propria l’attitudine al sacrificio. La Torà ci insegna in questo modo che il ricevere, il sacrificare, il dare, il donare, il rinunciare sono le vie per rendere completa la nostra condizione umana.
La nostra parashà ci parla in particolar modo di una specie singolare di sacrificio: il korban todà o offerta di gratitudine. Questa offerta veniva presentata a Dio in una vasta gamma di occasioni, sia in contesti di salvezza fisica, quando ci si trova in un rischio mortale, sia a titolo personale, dopo un parto e dopo una nascita, che comunitario.
Il verbo ebraico “lehodot” ha due significati complementari, sia riconoscere che ringraziare. Uno implica l’altro: non si può ringraziare sinceramente quello che non si riconosce, mentre riconoscere il favore del prossimo e non ringraziarlo difficilmente obbedisce alla spontaneità dell’impulso morale. La gratitudine deve essere reale tanto nei confronti del prossimo quanto nei confronti di Dio: si tratta di un principio fondamentale nella vita di una persona che l’aiuterà a convivere con la società.
Tutti gli uomini dipendono gli uni dagli altri, come recita il Talmud: “Tutti i membri di Israele sono responsabili gli uni per gli altri”. Ringraziare significa manifestare la coscienza di questo vincolo di impegno e dipendenza che ci unisce al Benefattore. Questa è l’attitudine che dobbiamo acquisire nella vita quotidiana, così come nella relazione con gli altri uomini e nella nostra relazione con il Creatore.